春风得意chūn fēng dé yìEsultare nel vento di primavera
Il sole è alto, l’aria sa di fiori di pesco, fuori le voci di bambini che giocano e di mercanti che attirano i passanti.
Sono seduto nella mia misera stanza, i fogli sparsi sulla scrivania, le dita macchiate e i capelli ormai argentati che mi accarezzano le spalle.
Le mie emozioni sono un lago d'inchiostro in cui le parole prendono forma, a volte in lunghi poemi che si perdono nella profondità della mia essenza. Oggi il mio lago è agitato, su di esso mille emozioni appaiono e subitanee scompaiono, come in una lotta disperata per mantenersi in superficie.
Cerco di placarle, poi un suono mi desta come un sasso gettato nell'acqua. Bussano alla porta:
"Meng Jiao, il decreto imperiale è arrivato!"
Il mio cuore cessa di battere. Vent'anni. Vent'anni di umiliazioni, di pasti saltati, di sguardi compassionevoli. Vent'anni a guardare ragazzi di vent'anni superare gli esami che io fallivo ancora e ancora.
Il sigillo reale si rompe sotto le mie dita tremanti. Il rotolo di seta scivola tra le mie mani.
E lì trovo scritto il mio nome.
Non piango. Non urlo. Rido, un riso strozzato, liberatorio.
Esco di casa, affitto il primo cavallo che trovo: un ronzino malconcio e parto al galoppo.
Il vento di primavera mi investe, fresco, vivo, come non l'ho mai sentito prima.
I miei vestiti logri sbattono come vessilli di guerra, i miei capelli d'argento danzano selvaggi.
Le persone per strada mi guardano stupite:
"Chi è quel vecchio pazzo che cavalca come un ragazzo?"
Io sorrido: oggi, per la prima volta faccio parte anch'io di questo mondo, Chang’an è la mia città. Ponti, case, palazzi, viali alberati, li guardo come se fosse la prima volta… Tutto si è tinto di nuovi colori.
Ma non basta. Spingo il cavallo oltre le mura cittadine, verso i campi dove i ciliegi selvatici hanno appena schiuso i loro fiori. Una pioggia di petali rosa mi accoglie, intrecciandosi ai miei capelli argentei. Il passato è polvere che si disperde dietro di me.
Ho cavalcato per molto tempo, il mio cavallo è stanco.
Mi fermo accanto ad un grande ciliegio, il sole sta tramontando. Sento i versi affiorare, naturali come il respiro:
《登科后》dēng kē hòu
Dopo aver superato gli esami imperiali
昔日龌龊不足夸,
xī rì wò chuò bù zú kuā
Un tempo vivevo nello squallore, nulla di cui vantarsi,
今朝放荡思无涯。
jīn zhāo fàng dàng sī wú yá
oggi mi abbandono a pensieri senza confini.
春风得意马蹄疾,
chūn fēng dé yì mǎ tí jí
Esulto nel vento di primavera, rapido cavalco il mio destriero,
一日看尽长安花。
yī rì kàn jìn cháng ān huā
in un solo giorno, ammiro fino ad esaurire tutti i fiori di Chang’an.
孟郊 Mèng jiāo
Emarginato da tutti, ma sempre fedele al suo cuore
Carissimi amici,
oggi vorrei raccontarvi la vita dell’autore di questa straordinaria poesia.
Un uomo che conobbe sulla propria pelle la povertà, l’emarginazione e il dolore di molte tragedie personali.
Che lottò a lungo per il proprio destino e per dare voce al proprio cuore, senza mai vedere riconosciuto, in vita, il suo talento.
E che, alla fine, anche se il riconoscimento giunse solo dopo la sua morte, fu celebrato come uno dei più grandi poeti della dinastia Tang.
Meng Jiao nacque nel 751, in un angolo remoto dell’impero, là dove le montagne del Zhejiang si tuffano nel mare. Suo padre, un modesto funzionario, gli insegnò a impugnare il pennello prima ancora che ad allacciarsi i sandali, ma non rimase per molto tempo assieme a lui. Rimasto orfano, povero, con una madre da accudire, il giovane Meng Jiao conobbe presto l’asprezza della vita.
Passò gli anni migliori della sua giovinezza a lottare contro la miseria. Mentre i figli delle grandi famiglie di Chang'an studiavano i classici su tavoli di lacca, lui scriveva su fogli strappati, al lume di una candela che spesso non poteva permettersi.
Gli esami imperiali? Per vent'anni consecutivi si presentò, e per vent'anni consecutivi tornò a casa con un fallimento. Senza soldi per libri rari o maestri influenti, restò sempre emarginato da quella società di cui avrebbe voluto essere parte.
Ma non fu solo la povertà a sbarrargli la strada. gli esami imperiali premiavano chi sapeva ripetere i classici, ma la sua mente non era fatta per i cliché, aveva bisogno di esprimere il suo cuore, non recitare i versi di altri.
弃置复弃置,
qì zhì fù qì zhì
Scartato e ancora scartato,
情如刀剑伤。
qíng rú dāo jiàn shāng
questo dolore è una lama che trafigge.
Scriveva nel suo celebre《落第》"Fallire l'esame".
Nel 796, quando ormai i suoi capelli si stavano ingrigendo, accadde l'impossibile. Superò l'esame. Quell'uomo magro, dall'aspetto trasandato, che i giovani candidati snobbavano come un fallito, aveva finalmente il suo nome inciso sulle liste imperiali. Scrisse allora il suo poema più celebre, quello che avrebbe donato al cinese il chengyu 春风得意 (chūn fēng dé yì, esultare nel vento di primavera) oggi utilizzato per descrivere un momento di trionfo, felicità sfrenata e successo, spesso raggiunto dopo molte difficoltà.
Purtroppo la felicità durò poco. Il sistema burocratico della dinastia Tang non aveva pietà per gli spiriti liberi come il suo e la sua poesia cruda e introspettiva era lontana dall'eleganza di corte. Pertanto, anche a causa della sua età avanzata, venne assegnato a un incarico minore e presto si ritrovò di nuovo emarginato.
La tragedia bussò ancora alla sua porta: perse tre figli in pochi anni. Cadde in depressione e le sue poesie divennero ancora più crude, più disperate. Scrisse versi che sembravano graffi sulla carta, come in "Qiuhuai" (Ricordi d'autunno), dove ogni carattere è impregnato di un dolore che ancora oggi, dopo dodici secoli, ci trafigge il cuore.
Negli ultimi anni, malato e solo, si ritirò nelle montagne del suo Zhejiang natale. Continuò a scrivere fino all'ultimo respiro, versi che nessuno voleva pubblicare, poesie che sarebbero state riscoperte solo secoli dopo la sua morte. Morì nel 814, dimenticato da quasi tutti.
Ma la storia gli avrebbe reso giustizia. Oggi Meng Jiao è considerato uno dei poeti più originali della dinastia Tang, il precursore di uno stile crudo e personale che avrebbe influenzato generazioni di letterati. La sua vita ci insegna che a volte è proprio chi lotta contro il destino, chi cade e si rialza infinite volte, a lasciare l'impronta più profonda.
E quel giorno di primavera del 796, quando galoppò per Chang'an col cuore in fiamme, ci ha regalato non solo un chengyu, ma un'istantanea eterna del trionfo dell'umano spirito: 春风得意 chūn fēng dé yì, esultare nel vento di primavera.