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捕风捉影 bǔ fēng zhuō yǐng Catturare il vento, afferrare l'ombra

 捕风捉影
bǔ fēng zhuō yǐng
Catturare il vento, afferrare l'ombra





Carissimi lettori,

oggi vorrei parlarvi del chengyu 捕风捉影 (bǔ fēng zhuō yǐng). Questo idioma cinese compare per la prima volta nell’《汉书》 (hàn shū – Libro degli Han), l’opera monumentale dello storico 班固 (bān gù), completata nel I secolo d.C.

Appare in un celebre passaggio in cui Ban Gu critica duramente i metodi con cui l’imperatore Wu della dinastia Han dissipava le risorse dell’impero nella ricerca dell’immortalità:

听其言,洋洋满耳,
tīng qí yán, yángyáng mǎn ěr, 
Le loro parole riempiono le orecchie di grandiosità, 

若将可遇; 
ruò jiāng kě yù; 
e sembra quasi che si possano realizzare;

求之,荡荡如系风捕景,
qiú zhī, dàng dàng rú xì fēng bǔ jǐng, 
ma cercarle è vano come legare il vento e catturare le ombre, 

终不可得。
zhōng bùkě dé.
alla fine è impossibile ottenere qualcosa.

L’imperatore Wu degli Han (汉武帝, hàn wǔdì, regno 141–87 a.C.) fu uno dei sovrani più potenti e influenti della Cina antica. Espanse notevolmente i confini imperiali e rafforzò la centralizzazione del potere, ma più avanti negli anni cadde ossessionato dall’idea di sconfiggere la morte. Sperperò immense ricchezze finanziando sciamani, alchimisti e spedizioni alla ricerca di elisir miracolosi, in una corsa disperata che Ban Gu condanna come un vano tentativo di “catturare il vento”.

Il significato originale del chengyu era quindi una condanna razionale della superstizione e della ricerca dell'impossibile. Oggi, 捕风捉影 (evoluzione nel tempo dell’espressione 系风捕景) descrive qualsiasi tentativo di agire o accusare qualcuno basandosi su indizi vaghi, prove inconsistenti o semplici voci, come anche di tentare di conoscere o afferrare ciò che è intrinsecamente sfuggente, illusorio o impossibile da possedere.

Eppure, l’essenza di questa critica trova un’eco tragica e sorprendentemente perfetta in una vicenda avvenuta oltre un secolo dopo l’imperatore Wu, che ha come protagonista l’allora imperatore 汉成帝 (Hàn Chéngdì), negli anni in cui la dinastia Han stava avviandosi verso il suo lento e inesorabile declino.


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L’ultima notte di Han Chengdi

La notte è profonda e silenziosa. Han Chengdi vaga solitario tra i padiglioni del palazzo. In quel momento non è più l'Imperatore, ma un uomo sperso e tormentato dai fantasmi del passato. 

La voce di 赵合德 (zhào hédé, Zhao Hede) lo chiama, invitandolo a rientrare. In quell’istante, egli comprende di non essere mai stato davvero libero: libero di amare ed essere amato sinceramente, libero di scegliere il proprio destino, libero di avere un figlio. E tuttavia, ciò da cui non era mai riuscito a liberarsi erano le sue stesse ardenti passioni.

Non vi è errore più grande, per un uomo, che lasciarsi dominare dalle proprie passioni, permettere loro di renderlo sordo e cieco. 

Così era stato per lui, per troppo tempo. Cieco alla corruzione che si era diffusa nell’impero come una pestilenza. Cieco alla sete di potere delle bellissime sorelle Zhao, determinate a essere le sole a generare il futuro imperatore. Cieco alle morti inspiegabili dei propri figli, strappati alla vita appena nati.

Forse giunse un momento, alcuni anni prima, in cui anche le passioni più violente persero la loro presa sulla sua mente. Fu il giorno in cui la dama 曹宫 (cáo gōng, dama Cao) entrò nella sua vita.

Era giovane, estranea ai mali del mondo, alla brama di potere e alle invidie di corte. Pura, come lui non era mai stato. Il loro fu un amore breve ma intenso, e lei gli donò un figlio. Un figlio di cui udì il pianto una sola volta, prima che anche quello gli venisse sottratto. Poco dopo, anche la dama Cao fu imprigionata e costretta al suicidio. Una vita vissuta sotto il dominio delle passioni lo aveva reso troppo debole per opporsi.

Quando tutto fu perduto, l’immagine della dama Cao e l’eco del pianto del figlio si scolpirono per sempre nella sua memoria.

Da allora, cercò un erede con rinnovata ossessione. Consultò maghi e alchimisti, sperperò ricchezze in qualsiasi pratica potesse dargli un'altra possibilità. Un figlio che fosse non solo l'erede al trono, ma il segno che il Cielo lo avesse perdonato. Ma non ci fu alcun nuovo erede.

Da allora, la ricerca di un erede riprese con rinnovata e cieca ossessione. Consultò maghi e alchimisti, dissipò ricchezze in ogni rituale che promettesse una seconda possibilità: un figlio che non fosse solo l’erede al trono, ma il segno che il Cielo avesse perdonato la sua ignavia. Ma non ci furono eredi per lui.

Zhao Hede lo chiamò ancora. Nel suo tono non c’era più desiderio né dolcezza, solo stizza e impazienza.

Egli tornò da lei, tornò ad annegare il dolore in quelle passioni che lo avevano reso cieco. E proprio quella notte, nel 7 a.C., Han Chengdi morì.


La Storia: il dramma di Corte e la Crisi Dinastica

La tragica vicenda della dama Cao non fu un episodio isolato, ma il simbolo più eloquente della crisi che logorò gli ultimi anni di regno di Han Chengdi.

Dopo la nascita del figlio delle Dama Cao, la potente concubina Zhao Hede ne ordinò l'eliminazione. La Dama Cao fu rinchiusa e costretta al suicidio, mentre la balia e i servi a conoscenza del fatto furono messi a morte per cancellare ogni traccia.

L'imperatore, dipendente dalle concubine Zhao (le sorelle: 赵合德Zhào Hédé e 赵飞燕Zhào Fēiyàn) e dalla loro influenza, non intervenne.

Questo episodio, insieme alla morte prematura di altri figli avuti da altre concubine, lasciò l'imperatore senza un erede sopravvissuto.

La sua successiva e disperata ricerca di un figlio, consultando maghi e sperperando ricchezze in rituali, divenne una vana ossessione parallela a quella del suo antenato per l'immortalità.

Ma se l’imperatore Wu cercava di afferrare l’ombra della vita eterna, Han Chengdi inseguiva l’ombra di una discendenza che gli sfuggiva, schiacciato dal potere delle Zhao.

La morte improvvisa di Han Chengdi nel 7 a.C. lasciò il trono vacante. Il potere passò a un nipote bambino, l'Imperatore Ai, e la reggenza si consolidò saldamente nelle mani della famiglia di sua madre, i Wang. Questa instabilità creò le condizioni perfette perché, pochi anni dopo, Wang Mang potesse infine usurpare il trono (9 d.C.), ponendo fine alla dinastia Han Occidentale. La storia personale di Han Chengdi, la sua incapacità di garantire un erede e il suo governo debole, fu dunque un anello cruciale nella catena di eventi che portò al crollo della dinastia.


Nomi dei personaggi

Imperatore Cheng degli Han: 汉成帝 (Hàn Chéngdì)

Zhao Hede (la favorita imperiale): 赵合德 (Zhào Hédé)

Zhao Feiyan (sorella di Hede, Imperatrice): 赵飞燕 (Zhào Fēiyàn)

Dama Cao (concubina di rango inferiore): 曹宫 (Cáo Gōng)

Ban Gu (lo storico): 班固 (Bān Gù)

Imperatore Wu degli Han: 汉武帝 (Hàn Wǔdì)

Wang Mang (l'usurpatore): 王莽 (Wáng Mǎng)


隔岸观火 gé àn guān huǒ - Osservare il fuoco dalla riva opposta

隔岸观火
gé àn guān huǒ
Osservare il fuoco dalla riva opposta


Carissimi lettori, 

oggi parliamo di un chengyu molto interessante e significativo che risale al periodo (五代十国, Wǔ Dài Shí Guó - Cinque Dinastie e dei Dieci Regni), un'epoca di conflitti e instabilità che ha seguito la caduta della dinastia Tang.

In questo periodo fiorì una figura molto peculiare: il monaco poeta (诗僧, shī sēng)

I monaci poeti erano uomini davvero interessanti, da un lato coltivavano la ricerca interiore e la spiritualità, dall’altro usavano la poesia per trasmettere le loro intuizioni spirituali, descrivere i loro stati di coscienza elevati o semplicemente celebrare la bellezza di una vita distaccata dal mondo alla ricerca del proprio cammino interiore.

I monaci poeti erano già presenti in Cina da molti secoli, ma durante la caduta della dinastia Tang, in un mondo sempre più incerto, la via del monaco rappresentò un rifugio dai dolori del mondo e i monasteri divennero oasi di cultura e di pace, dove i monaci potevano praticare la spiritualità e la letteratura. 

È proprio in questo contesto che nasce il chengyu 隔岸观火 (gé àn guān huǒ), "osservare il fuoco dalla riva opposta" che deriva da una breve poesia che il monaco poeta: 乾康 (Qián kāng) scrisse per farsi ricevere da 齐己 (Qí Jǐ), un celebre monaco poeta dell’epoca, una delle figure più influenti e rispettate del suo tempo.


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Andando a visitare Qí Jǐ

Quanta pace tra questi alti picchi, quanto silenzio lungo questo ripido sentiero.

Mi volto e vedo un panorama tinto di rosso. Forse sono i fuochi della città, forse è il colore del tramonto, forse l’alba di una nuova guerra all’orizzonte.

Ho viaggiato a lungo e ovunque ho visto lo stesso, desolante spettacolo: l’impero, un tempo unito e potente, è ora un puzzle di regni in guerra. I generali si tradiscono l’un l’altro, i campi bruciano e la gente soffre. Il mondo sembra diventato un grande incendio in cui ognuno cerca di arraffare le ultime braci di ciò che fu.

Mi chiedo: come fanno a non essere stanchi di tutto questo?

Cammino assorto nei miei pensieri finché un monastero non si rivela davanti a me: sono arrivato.

Le mura, le cui pietre scure sono consumate dalla pioggia e dal tempo, sembrano assorbire la luce del giorno. I tetti di tegole smaltate brillano come rugiada e si incurvano verso il cielo come le spalle di un vecchio saggio. Due enormi leoni guardiani fiancheggiano il portale principale.

Un luogo maestoso, solido, radicato nella montagna: un baluardo fatto di quiete e pace, ma anche di potere e ricchezza, un argine monolitico contro il fluire turbolento del mondo.

All’ingresso, un giovane monaco con le mani nascoste nelle ampie maniche, mi chiede con voce educata la ragione della mia visita. Intuendo la mia estraneità, e senza attendere una risposta completa, mi invita con un cenno cortese in una stanza laterale per il tè.

L’aria profuma di sandalo e incenso. La stanza è piccola ma finemente arredata: colonne di legno di nanmu, lucide come specchi, sorreggono un soffitto dipinto con draghi e fenici; pesanti tende separano gli spazi e mantengono il calore; su un piccolo tavolo in legno, intagliato con grande maestria, è disposto un servizio da tè di porcellana bianca e azzurra, così raffinato che esito a sfiorarlo. 

Il giovane monaco mi porge una ciotola colma del prezioso infuso; il suo gesto è un perfetto studio di grazia distaccata. I suoi occhi compiono un rapido inventario della mia persona: il saio logoro e rattoppato, le unghie rotte, le scarpe di paglia sfilacciate. Mi riserba la stessa cortesia che si usa a corte, un'arma di esclusione vestita di seta.

Il giovane posa la ciotola e si offre di annunciarmi a 齐己 (Qíjǐ). Lo interrompo con gentilezza e chiedo soltanto un foglio di carta, un pennello e un po’ d’inchiostro. 

Stendo il foglio sulla superficie ruvida del tavolo e scrivo questi pochi versi: l’unico lasciapassare che possiedo...


《投谒齐己》tóu yè qí jǐ - Andando a Visitare Qi Ji

隔岸红尘忙似火,
gé àn hóngchén máng sì huǒ
Di là dalla riva, il mondo di polvere rossa brilla come fuoco.

当轩青嶂冷如冰。
dāng xuān qīng zhàng lěng rú bīng
Qui, davanti al padiglione, la barriera di verdi pendii è fredda come ghiaccio.

烹茶童子休相问,
pēng chá tóng zǐ xiū xiāng wèn
Fanciullo che prepari il tè, smetti di interrogarmi,

报道门前是衲僧。
Bào dào mén qián shì nà sēng
annuncia solo che alla porta c'è un monaco col saio rattoppato.


Distacco Spirituale o indifferenza?

Questo breve e splendido componimento celebra il distacco spirituale. Il rifiuto di un mondo ormai in decadenza (la polvere rossa che brilla come fuoco) per cercare la via dello spirito (la barriera di verdi pendii fredda come ghiaccio). 

In questo senso, "osservare il fuoco dalla riva opposta" è un atto di saggezza e di autopreservazione spirituale. È il comportamento di colui che cerca il distacco da un mondo illusorio e sempre più travolto dalla barbarie.

Tuttavia, sebbene il chengyu di oggi derivi da questa poesia, il suo significato si discosta dal senso del componimento ed è proprio qui che nasce l'ambiguità storica del chengyu 隔岸观火 (gé àn guān huǒ).

Perché cosa succede se quel "fuoco" non è solo il tumulto della società, ma è un'ingiustizia che brucia i deboli? Se quella "riva opposta" non è un rifugio spirituale, ma il comodo balcone di chi potrebbe aiutare ma non lo fa?

In tal senso un ritiro spirituale può rappresentare un atto di egoismo, di attaccamento verso sé stessi.

Nel linguaggio moderno, 隔岸观火 (gé àn guān huǒ) ha abbracciato proprio questo secondo significato, capovolgendo completamente la sua connotazione iniziale. Oggi questo idioma non descrive il ritiro spirituale di un monaco, ma l'atteggiamento egoista di chi, potendo assistere qualcuno in difficoltà, sceglie invece di stare a guardare, indifferente e al sicuro.

Certo non credo che questa visione potesse passare inosservata a persone dedite alla contemplazione del mondo e la spiritualità. In particolare colpisce l’ultima parola 衲僧 (nà sēng – monaco con il saio rattoppato) della poesia di Qián kāng, in cui l’autore da certamente importanza all’umiltà e alla rinuncia delle ricchezze del mondo in ogni sua forma sia quella civile che monastica. Ed è forse proprio quella la parola più importante del poema poiché lo stesso Qí jǐ era conosciuto come una persona estremamente umile che non bramava affatto la ricchezza.

In conclusione, la storia di questo chengyu ci racconta come il confine tra ascesi e indifferenza, tra ricerca interiore e fuga dalle responsabilità, è sottilissimo. La stessa azione, il distacco, può essere un viaggio verso la luce o una ritirata nell'ombra dell'orgoglio e dell’egoismo. Sta a noi, ogni volta, decidere da quale riva stiamo osservando, e se quel fuoco che brucia lontano ci chiama, in qualche modo, a non restare semplicemente a guardare.


秋水伊人 qiūshuǐ Yīrén Colei/colui a cui penso fra le acque d’autunno

秋水伊人 qiūshuǐ Yīrén Colei/colui a cui penso fra le acque d’autunno

秋水伊人
qiūshuǐ Yīrén
Lei fra le acque d'autunno

Carissimi lettori, oggi voglio parlarvi di un’antica tecnica poetica che risale allo 诗经 shījīng, il celebre Libro delle Odi, un capolavoro le cui composizioni più antiche risalgono a circa tremila anni fa e che ormai chi ci segue dovrebbe conoscere.

Questa tecnica si chiama: 複沓 (fùtà – ripetuto e sovrapposto), è una tecnica poetica nota come "ripetizione con variazione", caratterizzata dalla ripetizione di un verso, con variazioni minime ma significative.

Per chi fosse interessato ad averne una copia, ecco dove acquistarlo: Il Libro delle Odi


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Perché la tecnica Fùtà è così potente?

Questa tecnica infonde al componimento poetico una forza straordinaria, perché sfrutta due elementi opposti: la ripetizione e il cambiamento. 

Immaginiamoci di essere in una stanza dove alle pareti sono appese una serie di tele, ognuna raffigurante lo stesso canneto all’alba. 

Ad un primo sguardo le immagini sembrano identiche. Però, osservando con più attenzione tra le canne emerge un volto che prima non c’era. Nella tela successiva il volto si fa più nitido, infine nell’ultima tela il volto è scomparso. 

Il canneto passa in secondo piano, ma il volto diventa l’elemento dominante del nostro pensiero. L’esperienza assume una quarta dimensione: il tempo che scorre, si intensifica e infine scompare. Il volto non è che un semplice dettaglio ma rimane impresso nella mente di chi lo ha visto.

La tecnica della 複沓 (fùtà) è quindi molto più di un espediente poetico antico. È un pattern cognitivo profondamente radicato nella cultura cinese e nell’essere umano in generale, che sfrutta il modo in cui la nostra mente processa le informazioni: troviamo conforto e prevedibilità nella ripetizione, ma siamo stimolati e coinvolti dalla variazione. Quasi una lotta continua fra l'ordine e il caos.

Questa tecnica è presente ovunque proprio perché fa parte del nostro meccanismo mentale. 

In Occidente prende la forma dell'anafora: la ripetizione di una parola o frase all’inizio di versi o frasi successive; o della ripetizione incrementale tipica della ballata popolare britannica e germanica.

In Cina, questo stile si è mantenuto nel tempo passando nella poesia delle dinastie successive, fino alla musica e alla comunicazione dei giorni nostri. La tecnica della Fùtà sfrutta il nostro modo di percepire la realtà e di conseguenza diventa una potente alleata della nostra creatività.


《蒹葭》 (jiān jiā – le canne)

La poesia di oggi sfrutta proprio la ripetizione incrementale per infondere malinconia e significato all’incessante ricerca di un ideale. La ripetizione con variazione non solo crea un ritmo ipnotico, ma anche un senso di ricerca incessante e fallita. Ogni tentativo si scontra con la realtà mutevole e illusoria dell'oggetto del desiderio, che si sposta e trasforma proprio come un riflesso nell'acqua. 

Il poeta descrive un paesaggio autunnale, freddo e avvolto dalla brina, mentre cerca invano di raggiungere la persona amata, che appare sempre evanescente e inarrivabile.

È da questo gioco di vicinanza apparente e irraggiungibilità sostanziale che nasce il chengyu 秋水伊人 che significa letteralmente "Lei fra le acque d’autunno" ed esprime un profondo senso di nostalgia: il desiderio struggente per una persona amata lontana o irraggiungibile, ma anche per un ideale o una meta tanto anelata quanto impossibile da ottenere.

Ho diviso la poesia in questa tabella così che possiate apprezzare meglio la tecnica del Fùtà. Le tre strofe sono riportate nelle 3 diverse colonne con relativi pinyin e traduzione, nell'ultima colonna invece sono riportate le differenze fra i versi corrispondenti.

Buona lettura.

Verso Prima Strofa Seconda Strofa Terza Strofa Analisi della Variazione
1 蒹葭苍苍
Jiān jiā cāng cāng

Canne rigogliose e verdi
蒹葭凄凄
Jiān jiā qī qī

Canne lussureggianti e umide

蒹葭采采
Jiān jiā cǎi cǎi

Canne rigogliose e folte


L'attesa
Tre frasi che descrivono lo stesso canneto con sfumature diverse, suggerendo il passare del tempo. Forse una lunga attesa.

2 白露为霜
Báilù wéi shuāng

La bianca rugiada è diventata brina
白露未晞
Báilù wèi xī


La bianca rugiada non si è ancora asciugata
白露未已
Báilù wèi yǐ


La bianca rugiada non è ancora finita
Il tempo passa, ma l'attesa è vana.
Mostra una progressione temporale e di persistenza. Il freddo della brina (1°) lascia il posto all'umidità persistente (2° e 3°).
3 所谓伊人
Suǒ wèi yī rén

Colei di cui parlo

所谓伊人
Suǒ wèi yī rén

Colei di cui parlo


所谓伊人
Suǒ wèi yī rén

Colei di cui parlo


Desiderio immutabile
Qui è l'assenza di variazione che descrive l'intensità del desiderio per quella persona. Un sentimento così forte che rimane immutabile nel tempo.
4 在水一方
Zài shuǐ yī fāng

È dall'altra parte dell'acqua
在水之湄
Zài shuǐ zhī méi

È alla giunzione della riva

在水之涘
Zài shuǐ zhī sì

È al margine dell'acqua

La ricerca
Punti diversi del fiume, la variazione mostra uno sguardo che scruta la sponda in cerca di qualcosa che pare illusorio.

5 溯洄从之
Sù huí cóng zhī

Risalendo la corrente per seguirla
溯洄从之
Sù huí cóng zhī

Risalendo la corrente per seguirla
溯洄从之
Sù huí cóng zhī

Risalendo la corrente per seguirla
Ostinata ricerca
L'azione disperata e faticosa di risalire la corrente è sempre la stessa, un tentativo eroico, persistente e vano.

6 道阻且长
Dào zǔ qiě cháng

La via è ostacolata e lunga

道阻且跻
Dào zǔ qiě jī

La via è ostacolata e ripida


道阻且右
Dào zǔ qiě yòu

La via è ostacolata e torta/insidiosa


L'ostacolo
L'ostacolo si moltiplica e si trasforma. Non è solo una questione di distanza (1°), ma anche di fatica fisica (2°) e di pericolo e inganno (3°). L'impedimento si fa più complesso.
7 溯游从之
Sù yóu cóng zhī

Discendendo la corrente per seguirla
溯游从之
Sù yóu cóng zhī

Discendendo la corrente per seguirla

溯游从之
Sù yóu cóng zhī

Discendendo la corrente per seguirla

Ogni sforzo è vano
Ogni tentativo di risalire la corrente pare vanificato e l'autore torna indietro.



8 宛在水中央
Wǎn zài shuǐ zhōngyāng

Pareva fosse nel centro del fiume.

宛在水中坻
Wǎn zài shuǐ zhōng chí

Pareva essere su un'isolotto nel fiume

宛在水中沚
Wǎn zài shuǐ zhōng zhǐ

Pareva essere su un banco di sabbia nel fiume

Illusione
L'illusione si concretizza in luoghi sempre più specifici. Questo rende la sua irraggiungibilità non una lontananza, ma una straziante illusione dell'oggetto stesso del desiderio.

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